È bello, è positivo ritrovarci come Famiglia Paolina a solennizzare la festa del Divino Maestro. Certamente solo la liturgia in tutta la sua misteriosa, profonda, feconda sacralità ci fa vivere questa festa, che noi, da soli, non riusciremmo mai a comprendere. E tuttavia – poiché ogni azione liturgica è sempre un intreccio umano e divino -anche questa solennità non si limita ad un adorante e festoso riconoscimento di Gesù come maestro divino, ma ricorda a ciascuno di noi il nostro essere suoi discepoli. Molto opportunamente il nostro comune Beato Fondatore ci diceva: È questa la strada tracciata ai Paolini: sempre discepoli del Maestro; sempre vivere il Maestro; sempre sentire il Maestro; sempre rivelare il Maestro. Col Maestro e in dipendenza dal Maestro i Paolini saranno maestri di sapere, di perfezione, di vita(Vademecum, 226).
L’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, anni fa spiegava ai suoi fedeli: «Essere cristiani significa essere discepoli di Gesù. Diventare cristiani significa diventare discepoli di Gesù. Un discepolato che durerà tutta la vita». Ma la medesima convinzione aveva e ce l’ha trasmessa il nostro Beato Fondatore, e con accenti che non ammettono tentennamenti o scuse: «La devozione a Gesù Maestro – diceva don Alberione – non si riduce alla semplice preghiera o a qualche canto, ma investe tutta la persona… È una trasformazione totale in Gesù Cristo, in cui Gesù e l’anima si cedono a vicenda, trasfondendo l’uno l’intero possesso di sé all’altro… La devozione a Gesù Maestro Via, Verità e Vita non è solamente preghiera, ma comprende tutto quello che si fa nella vita quotidiana».
Vi è un passaggio della narrazione fatta dall’evangelista Giovanni, quella dell’ultima cena, nella quale è Gesù stesso che, in modo esplicito, attesta sia la sua qualifica di maestro e sia la nostra di discepoli. Giovanni documenta così il pensiero di Gesù: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e ditebene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovetelavarvi i piedi gli uni gli altri” (13,13-14). Ma già il profeta Isaia aveva intravisto in anticipo quella che sarebbe stata la nuova realtà con la venuta del Figlio dell’uomo: “Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore, e grande sarà la prosperitàdei tuoi figli“ (Isaia 54,13). Mentre l’evangelista Giovanni sottolinea che il vero discepolo di Gesù sarà colui che lo imita nell’amore: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amoregli uni per gli altri” (Gv 13, 35).
Non possiamo dimenticare che Dio Padre, in Gesù Cristo e per mezzo dello Spirito Santo, ha un progetto su ciascuna delle sue creature, su ciascuno di noi; e quindi noi ci realizziamo solo se corrispondiamo al suo progetto. Ma questo progetto va scoperto; e questo progetto dobbiamo e possiamo conoscerlo solo se alimentiamo undialogo con Gesù: lui, il maestro – noi, i discepoli. Per cui, in questo nostro tempo di relativismo, direi di idolatria della propria persona e del proprio pensiero, mi sembra fondamentale chiederci spesso: Cosa vuole il Signore da me? Quale progetto vuole ch’io realizzi? Ma prima di porci questa domanda, dovremmo esaminarci: Io, mi sento realmemnte discepolo del Maestro divino?
È certo che Gesù desidera la nostra autentica realizzazione, la nostra felicità. Anzi, desidera per noi una felicità piena; ha detto: …io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.(Gv 10,10). E prosegue: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. (Gv 15, 9-12). Vedete come il tema dell’amore del Padre verso di noi è correlato con l’amore che noi abbiamo verso di lui nell’ascolto e nell’obbedienza ai suoi comandamenti.
In questo poco che ho detto, mi sembra appaia più chiara ed anche coerente l’affermazione dell’Arcivescovo di Vienna citata sopra: «Essere cristiani significa essere discepoli di Gesù. Diventare cristiani significa diventare discepoli di Gesù. Un discepolato che durerà tutta la vita».
Alla fine del suo vangelo Gesù impartisce il grande mandato missionario: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.(Mt 28,19-20). Il mandato di Gesù è di aggregare a Lui tutti nella sua scuola di vita. Se il Signore ci dà questo incarico è perché vuole che noi per primi entriamo nella sua scuola. E questo è un compito che durerà tutta la vita; preciserà san Paolo: “…affinché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo statodi uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13).
Per concludere, viene spontaneo chiederci: A che punto ci troviamo in questa scuola del Maestro Divino? Vi siamo entrati e vi siamo come ardenti discepoli? Nel discorso di addio, nell’ultima cena, Gesù ha detto ai suoi primi discepoli: In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli (Gv 15,8). Chiediamoci allora: Come cristiani, come devoti di Gesù Maestro, stiamo realmente portando molti frutti di bene, di esemplarità? Gesù Maestro può essere contento di noi? Il Beato don Giacomo Alberione sarà fiero di noi suoi figli e figlie spirituali?
O Gesù Maestro, Via, Verità e Vita, abbi pietà di noi.